Nel 1978 la situazione cambia: la legge 180, conosciuta con il nome del suo promotore, lo psichiatra Franco Basaglia, ha stabilito la chiusura degli istituti psichiatrici e il riconoscimento ai malati del diritto ad un`adeguata qualità della vita. La norma raccoglieva le teorie del movimento dell`Antipsichiatria, del quale il maggiore esponente fu proprio Basaglia. Secondo lo studioso la psichiatria tradizionale, responsabile della creazione dei manicomi, era concentrata soltanto sulla basi organiche della malattia, trascurando l`origine sociale dei disturbi psichici. Lo psichiatra avrebbe dovuto invece sottolineare l`origine sociale dei disturbi psichici e impegnarsi politicamente per trasformare la società.
A trent`anni di distanza dalla legge Basaglia resta vivo il dibattito sulla cura e la gestione dei malati psichiatrici. La critica più decisa alla 180 riguarda il fatto di non aver pianificato in modo accurato le conseguenze della chiusura degli istituti psichiatrici. La norma ha infatti affidato alle Regioni l`attuazione dei provvedimenti in materia di salute mentale, generando una difformità di trattamento. Mentre alcune sono state tempestive nell`attuare la normativa, altre hanno tardato, producendo nel tempo effetti su qualità ed efficacia dell`assistenza.
Attualmente le strutture dedicate all`assistenza psichiatrica sono i Dipartimenti di salute mentale istituiti principalmente presso le strutture delle ASL. Queste strutture assicurano le attività di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento del malato mentale. Ognuna di esse per soddisfare le molteplici esigenze dei pazienti, offre diverse tipologie basilari di assistenza: innanzitutto i Centri di salute mentale e gli ambulatori, che si occupano dell`assistenza territoriale e domiciliare. Ci sono poi i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, i Day hospital, che forniscono le cure in regime di ricovero, e i Centri diurni che si occupano degli interventi socio-riabilitativi in regime semiresidenziale. Le Strutture residenziali offrono infine gli interventi terapeutico-riabilitativi in regime di permanenza temporale, suddivisi secondo le tre tipologie previste, in base all`intensità assistenziale sanitaria: nelle 24 ore, nelle 12 ore e a fascia oraria.
«La legge Basaglia? Non regge più» Svuotati i manicomi, il peso è finito sulle famiglie
«DA PSICHIATRA continuo a protestare, come ho fatto per trent’anni, contro la legge 180 sui disturbi mentali e contro la situazione che questa legge ha creato per i pazienti e le loro famiglie».
Raffaello Papeschi, toscano, è stato in prima linea per tutta la vita, si è occupato dei malati psichiatrici quando le strutture che li ospitavano erano ancora chiamati manicomi. Come quello di Maggiano, vicino a Lucca, «dove avevo uno studio proprio accanto a quello di Mario Tobino. Ricordo ancora le guardie notturne: nel silenzio del reparto sentivo che lavorava, perché batteva sui tasti di una vecchia Lettera 22».
Papeschi ha 74 anni, è in pensione, vive a Lucca, e i suoi interessi sono rimasti all’interno di quel mondo da cui non intende staccarsi.
Dottor Papeschi, che cosa non le è mai piaciuto della legge Basaglia?
«La mia critica è questa: era sì necessario ridimensionare i posti letto negli ospedali psichiatrici, e soprattutto cambiare la mentalità dei medici e degli infermieri che usavano metodi repressivi e quindi avrebbero avuto bisogno di essere rieducati. Ma non porre quei divieti».
Quali?
«La 180 dice no alla possibilità di curare i malati in ambiente ospedaliero al di fuori della loro famiglia, anche in strutture tipo comunità terapeutica. Basaglia non le accettava, un altro divieto, perché le vedeva come uno strumento di controllo da parte della società».
Crede che bisognerebbe riaprire i manicomi?
«Non si tratta di rifare i manicomi. E poi alcuni erano davvero lager. Ci finivano tre gruppi di persone: i sofferenti di malattie organiche, come alcolismo e demenza senile, che avevano bisogno solo di assistenza medica; chi aveva problemi di disagio sociale, come barboni e tossicodipendenti, quindi per loro sarebbe stata sufficiente una casa-famiglia. E poi c’erano gli schizofrenici, i depressi gravi, gli psicopatici. Quest’ultimo gruppo ha diritto a stare nelle comunità terapeutiche, dove c’è sempre la presenza di uno psichiatra e di operatori. Perché quando c’è una crisi psicotica può succedere qualsiasi cosa. Sono strutture esistenti nei Paesi civili europei».
Per quanto tempo si dovrebbe rimanere nelle comunità terapeutiche?
«E’ difficile dirlo prima, perché lì è prevista un’attività riabilitativa e poi la terapia farmacologica. Però, certo, non per sempre. Per gli schizofrenici gravissimi, invece, dovrebbero sorgere luoghi di lungodegenza».
Quindi non resta che riformare la 180?
«Certo. Eppure finora dei circa 15 progetti di legge nessuno è mai andato in porto. E intanto la 180, che viene spacciata per una delle conquiste civili degli ultimi cinquant’anni, ha scaricato il peso dell’assistenza psichiatrica per la maggior parte sulle famiglie. E la sinistra italiana in trent’anni non si è ancora resa conto di questo. Dove non c’è assistenza pubblica, si passa a quella privata. E se la famiglia dove c’è un malato è ricca, si rivolge alle cliniche private, se è povera s’arrangia. Così oggi si è prodotta la sindrome della ‘porta girevole’: un ricovero e poi si va a casa, e dopo un mese si torna nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura».
Allora, che cosa si è rivelata questa legge?
«Un grande risparmio per le Regioni, che provvedono alla sanità».
di DONATELLA BARBETTA (Fonte: Il Giorno del 8/03/08)
Sono la madre di un malato psichico. Mi sono chiesta spesso il perché la malattia mentale sia ancora considerata un tabù, orribile e spaventoso da emarginare nel buio di torture e sofferenze nascoste tra le mura di molte case. Basti pensare che nessuno usa come insulto l' epiteto "canceroso" o "leucemico", ma "pazzo" sì, e questo è significativo. Eppure il cervello si ammala come qualsiasi altro organo. La legge 180, nota come legge Basaglia, pur nel lodevole intento di eliminare i manicomi-ghetto ha commesso a mio parere un errore, riservando al malato mentale il diritto e la scelta di curarsi, dato che il primo segnale di malattia mentale grave è proprio il rifiuto della cura, poiché il malato psichico è quello che dice "non sono malato". Rispettare questa decisione, in nome di un capzioso senso di libertà, vuol dire rinserrarsi in un atteggiamento ipocrita. Le conseguenze sono terribili, il malato psichico o è abbandonato in balia di se stesso o è isolato all' interno della famiglia, alla quale è totalmente affidato il carico del problema senza avere né aiuto, né preparazione né strumenti per affrontarlo. A trent' anni dalla legge, sono pochissime le strutture di assistenza psichiatrica efficienti ed efficaci. L' unica alternativa è l' assistenza privata per chi può permettersela. Nessuno vuole invocare la riapertura dei manicomi, sarebbe mostruoso, ma poiché rifiuta le cure, sono costretta a vederlo distruggersi, sempre più isolato, lottando da sola, lacerata e logorata.
Marianna Sassetti, Roma
Nessun commento:
Posta un commento